Prodotti ittici e rischi connessi: breve panoramica sui pericoli che vengono dal mare…e non solo

foto I prodotti ittici in vendita nei nostri mercati sono costituiti essenzialmente da prodotti della pesca o di acquacoltura e comprendono crostacei, pesci, gasteropodi e molluschi cefalopodi.

Due forme di contaminazione interessano tali prodotti: primaria, che è strettamente legata alla qualità dell’ambiente in cui vive l’animale, e secondaria, che dipende da procedure errate di manipolazione da parte degli operatori o dalle precarie condizione igieniche degli ambienti di lavorazione e stoccaggio.

I pericoli a cui invece può andare incontro il consumatore acquistando i prodotti ittici sono di tre tipi: fisici, chimici e biologici.

Per quanto riguarda i pericoli fisici essi si riferiscono all’eventuale presenza di corpi estranei nel prodotto ittico che potrebbero andare ad inficiare la conservabilità dell’alimento o che, peggio ancora, potrebbero nuocere al consumatore. I corpi estranei più comunemente riscontrati sono: gli ami nella cavità buccale, principalmente nel caso di pesci pescati col palangaro e la sabbia o il fango nei molluschi bivalvi, che portano a una riduzione della vitalità e quindi della durata del prodotto. E’ sempre valida la regola secondo cui tutto il personale che manipola alimenti deve assolutamente evitare di indossare monili che potrebbero essere fonte di contaminazione secondaria.

I prodotti ittici sono molto soggetti anche a numerosi pericoli chimici, come ad esempio i contaminanti ambientali. Essi sono sostanze inquinanti presenti nell’ambiente acquatico, come diossine, mercurio e metalli pesanti, che vanno ad accumularsi nelle carni degli animali. I più soggetti a questo tipo di pericolo sono i molluschi filtratori e i pesci di grande taglia, soprattutto se predatori, come il tonno e il pesce spada.

Un altro pericolo chimico è rappresentato dall’istamina, prodotto della degradazione dell’istidina, amminoacido normalmente presente nelle carni di alcune specie ittiche. Tale degradazione avviene sia se l’animale è stato pescato in condizioni stressanti che se non viene rispettata la catena del freddo, principalmente ad opera di germi istaminogeni e in condizioni di scarsa igiene. Le specie ittiche più soggette sono lo sgombro, il tonno, la sardina, l’aringa e l’alice.

Anche le biotossine algali sono pericoli chimici da non trascurare. Esse sono sostanze tossiche prodotte principalmente dal fitoplancton che si accumulano in animali filtratori quali cozze, vongole, ostriche o telline e se ingerite possono provocare differenti sintomatologie nel consumatore.

foto I pericoli biologici più diffusi nel reparto ittico sono il parassita Anisakis, i batteri che colonizzano il pesce come Vibrio, Listeria monocytogenes e Clostridium botulinum, e i virus presenti nei molluschi filtratori come il Norovirus e il virus dell’epatite A.

A causa della diffusione sempre maggiore di ristoranti giapponesi, il pericolo Anisakis sembra essere ormai molto conosciuto, ma va ricordato che non riguarda solo il consumo di pesce crudo al naturale, in quanto il parassita resiste anche alla marinatura e a trattamenti di affumicatura a freddo. Poiché le larve di Anisakis si incistano sugli organi interni, una rapida e completa eviscerazione riduce al minimo il rischio di migrazione post-mortem nei muscoli degli animali. Il trattamento più praticato per uccidere le larve, è comunque il congelamento (96h nel freezer domestico). Alcune specie ittiche sono più soggette a infestazione di altre come ad esempio sardine, sgombri, rane pescatrici, merluzzi, totani e calamari.

Per quanto riguarda i batteri che colonizzano i prodotti della pesca essi determinano in soggetti sani patologie gastrointestinali, che si risolvono spesso nel giro di pochi giorni. Negli anziani, nei bambini, nei soggetti immunodepressi e nelle donne in gravidanza invece possono dar vita a quadri clinici più complessi. E’ vero che la cottura abbatte notevolmente la carica microbica, ma nel caso in cui alcune specie, come ad esempio Staphylococcus aureus, avessero prodotto tossine termoresistenti, ciò non basterebbe a garantire la sicurezza del prodotto.

I virus più frequentemente trasmessi all’uomo sono il Norovirus e il virus dell’epatite A, entrambe di origine umana, che vengono trattenuti nelle carni dei molluschi bivalvi durante la loro opera di filtrazione. Il Norovirus provoca gastroenteriti mentre il virus dell’epatite A, dopo 4 settimane circa di incubazione, porta a sintomi para-influenzali, vomito e dolore al fianco destro. Entrambe i virus sono sensibili al calore, e vengono inattivati da temperature superiori ai 60°C.

Dott.ssa Isabella De Vita
Roma 20 ottobre 2014
Associazione Italiana Consulenti di Igiene Alimentare

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