Microbiologia alimentare: la carne

Carne posta su un vassoioCome citato in ogni manuale HACCP e come ripetuto in ogni corso HACCP, quello che non deve accadere nella produzione alimentare, nella ristorazione ed ovunque vengano manipolati alimenti, è che siano immessi sul mercato e resi disponibili al consumatore finale prodotti non conformi e non idonei al consumo umano, che costituiscono perciò un pericolo. Ogni categoria di alimenti ha i propri limiti entro i quali il prodotto viene considerato sicuro. Tra i parametri che vengono valutati per definire un alimento sicuro o meno ci sono anche quelli microbiologici. Prendiamo ad esempio la carne e studiamone gli aspetti microbiologici.

Questo prodotto alimentare costituisce un vero e proprio ecosistema a sé stante, molto complesso che permette la colonizzazione e lo sviluppo di un gran numero e varietà di microrganismi. Tra questi principalmente i batteri, alcuni utili o indifferenti altri patogeni o alterativi. La microflora che la carne possiede è dipendente dalle condizioni dell’allevamento e dalle condizioni di trasformazione, conservazione, distribuzione e lavorazione. Le fonti di contaminazione delle carcasse a fine macellazione sono infatti numerose: la pelle, le feci, contenuto intestinale, ma anche aria, acqua, suolo, operatori e strutture di lavorazione. A questa microflora appartengono numerose specie batteriche, tra cui Staphylococcus, Pseudomonas, Micrococcus, Corynebacterium, Enterobacteriaceae, Bacillus, ma anche lieviti e muffe. Questa flora è però suscettibile ai diversi trattamenti che la carne subisce prima di arrivare sulle nostre tavole. La frollatura, il taglio e la conservazione finale della carne possono modificare la quantità e il tipo di microrganismo in grado di crescere. Le carcasse subiscono un primo trattamento di frollatura (di periodo variabile) per favorire le modificazioni delle proteine nelle fibre muscolari (e renderle di conseguenza più o meno tenere). Al termine di questo processo la carcassa viene ridotta in tagli diversi e conservata. Proprio le condizioni di conservazione possono influire sul tipo di flora batterica dell’alimento e di conseguenza sulla shelf-life del prodotto, in modo particolare influiscono la temperatura di conservazione e l’atmosfera di confezionamento. Il primo parametro da tenere con attenzione sottocontrollo è la temperatura: anche piccole variazioni, all’interno dell’intervallo stesso di refrigerazione (-1 a 7°C) può determinare un incremento di crescita di batteri alterativi. Il secondo parametro è il metodo di conservazione della carne, che può avvenire in presenza di ossigeno (conservazione aerobica), sottovuoto, oppure ancora in atmosfera controllata. In condizioni di aerobiosi le specie maggiormente presenti nella carne sono quelle che appartengono al genere Pseudomonas, Entorobacteriaceae e alcuni batteri lattici. Alcune specie in particolari risultano estremamente adatte e specifiche a crescere nell’ “ecosistema carne”. In condizioni di conservazione diversa invece, la crescita di certe specie batteriche può essere influenzata dalla composizione gassosa dell’atmosfera scelta per la conservazione. Questa atmosfera è quella che si viene a creare all’interno della confezione, formata da un film che può presentare una permeabilità variabile ai gas, contenente la carne. Il tipo di atmosfera scelta esercita una forte pressione sulla flora batterica della carne.

Quando viene eliminata l’aria all’interno della confezione si parla di conservazione sottovuoto. In anaerobiosi perciò la maggior parte dei batteri presenti sono batteri lattici del genere Lactobacillus o Carnobacteriu. Questi batteri sono responsabili del lieve odore acido che acquisisce la carne cosi conservata, e che è dovuto alla produzione di acido lattico e acido acetico. Il tipico odore caseario inizia a comparire quando i batteri consumano tutti i carboidrati disponibili ed utilizzano gli amminoacidi con rilascio di acidi grassi volatili. In un tipo di conservazione come questa la differenza lo fa il grado di permeabilità del film che compone la confezione. Se la permeabilità ai gas aumenta si riscontra anche un proporzionale aumento nel tasso di crescita di specie del genere Pseudomonas. In ultimo in questo tipo di conservazione nonostante sia sottovuoto non è rara la crescita anche di Enterobacteriaceae. La conservazione ad atmosfera modificata invece, che solitamente avviene con miscele gassose composte dal 60-80% di O2 e dal 40-20% di CO2, è strettamente dipendente dalla temperatura di conservazione e dal tipo di carne conservato.

Un lotto di carne si definisce alterato quando si presentano dei cambiamenti organolettici che lo rendono inadatto al consumo umano, ed è il risultato dell’attività alterativa microbica associata alle modificazioni chimiche che avvengono. Per tanto le alterazioni a cui andrà in contro un lotto di carne dipendono dal tipo di batteri che costituiscono la microflora della carne e di come questi cresceranno nelle condizioni in cui la carne viene conservata. La maggior parte delle alterazioni avvengono nella fase acquosa della carne, dove si trovano soluti liberi direttamente utilizzabili dalla flora microbica (glucosio, urea, amminoacidi). Le alterazioni evidenti cominciano ad evidenziarsi quando i batteri presenti, cresciuti fino a quel momento sfruttando le riserve di carboidrati e zuccheri, cominciano a crescere sfruttando gli amminoacidi della carne come substrato nutritivo. Il primo campanello d’allarme perciò sono le alterazioni sensoriali che riguardano l’odorato. Carne alterata viene riconosciuta dalla comparsa di odori poco gradevoli ed anomali. L’ultimo stadio di alterazione si raggiunge quando la popolazione batterica, che ormai raggiunge la capacità della superficie della carne, comincia a metabolizzare i composti azotati con produzione di ammoniaca, dimetilsolfuro e ammine varie

Dott.ssa Federica Tavassi
Consulente HACCP Roma, 17 marzo 2013
Associazione Italiana Consulenti Igiene Alimentare

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