Rifiuto o sottoprodotto: approfondimento interessante per i corsi sull'HACCP

I processi agroalimentari producono ingenti quantità di prodotti, tra questi vi sono sostanze che non possono essere coinvolte in nessun altro tipo di utilizzo, i cosiddetti rifiuti, ma vi sono anche sostanze invece che, nonostante non costituiscono il prodotto principale del ciclo produttivo, possono trovare un impiego utile sia nello stesso ciclo che le ha prodotte che in nuovi. Studiare le alternative possibili alla produzione di rifiuti può essere un buon approfondimento per le aziende operanti nel settore agroalimentare, da introdurre non solo nei corsi per l’HACCP destinati agli operanti nel settore, ma anche nella pianificazione aziendale per una riqualificazione dell’azienda stessa. La nozione di sottoprodotto viene introdotta dalla Comunità Europea nel 2002, in una sentenza in cui si afferma che “non vi è alcuna giustificazione per assoggettare alla normativa sui rifiuti, beni, materiali o materie prime che dal punto di vista economico hanno valore di prodotto”. In quest’ottica, perciò, un prodotto pur non essendo il prodotto finale ed unico di un ciclo produttivo può non essere trattato come rifiuto (a livello gestionale e amministrativo) purchè rientri nella classificazione di sottoprodotto. Il nuovo utilizzo di materiali di scarto di fine produzione rappresenta una buona opportunità per le aziende per non attivare le procedure di recupero soggette a obblighi autorizzativi per i rifiuti. Nella Direttiva 2008/98/CE è posto tra gli obiettivi primari quello di ridurre la produzione di rifiuti, massimizzando il ricorso ad operazioni di riciclo/riutilizzo e recupero dei materiali e sostanze non nocive che sono economicamente ancora rilevanti, minimizzando così gli impatti ambientali provocati dalle operazioni di smaltimento. Il settore dei sottoprodotti è attualmente trattato nel Decreto legislativo 205/2010 (che ha sostituito il Dlgs 152/2006), che deriva dalla direttiva 2008/98/CE e che definisce possibile il riutilizzo di alcuni materiali purchè siano rispettati tutti i criteri citati dalla norma.

Il requisito che distingue il sottoprodotto dal prodotto principale del ciclo produttivo è che il sottoprodotto è originato da un processo di produzione il cui scopo non è la produzione di tale sostanza o oggetto, ma di un'altra (il prodotto principale). In generale si tratta di una sostanza di cui il produttore non vuole disfarsi e che per questo non avvia a smaltimento o a recupero. Deve poi essere ben chiaro che la sostanza in questione venga utilizzato nel successivo o nel corso dello stesso processo di produzione o da parte del produttore stesso o da parte di terzi a cui il produttore cede il sottoprodotto. L’assoluta certezza del riutilizzo della sostanza, infatti, diventa una caratteristica indispensabile per poter riqualificare propriamente una sostanza come sottoprodotto. Non basta infatti l’eventualità che questa diventi in qualche maniera qualche altro prodotto, ma si vanno a valutare esclusivamente riscontri oggettivi che “certificano” in qualche modo l’effettivo riutilizzo della sostanza. Il produttore, inoltre, se intende definire sottoprodotti certi residui di lavorazione, deve avere alcune accortezze e attenzioni al trattamento di queste sostanze. Infatti, nonostante non ci sia l’obbligo di riutilizzare i residui simultaneamente alla loro produzione, è bene evitare un loro accumulo indiscriminato e per tempi prolungati e indefiniti, in quanto spesso questo tipo di condotta è indice dell’intenzione di disfarsi dei residui (magari per abbandono) contravvenendo a tutti gli obblighi di legge relativi allo smaltimento vero e proprio dei rifiuti. Espressamente prevista dalla norma è anche il riutilizzo del residuo in un ciclo produttivo diverso da quello che lo ha prodotto, che esso sia gestito dal produttore iniziale o da terzi. Un altro requisito importante per un sottoprodotto è quello di non aver alcun impatto nocivo ne sull’ambiente ne sulla salute umana, deve perciò rispettare i criteri di qualità già imposte dalla normativa a tutela della salute dell’uomo per prodotti o materie prime, ed essere valutato l’effettivo impatto ambientale complessivo del riutilizzo. Nonostante la normativa a riguardo è volta a favorire il riutilizzo delle materie con l’ottica di diminuire il volume di rifiuti provenienti dai cicli produttivi, presenta alcuni punti poco chiari che possono generare confusione ed esporre le aziende a contestazioni. In quest’ottica forse, la norma dovrebbe essere rivista per evitare incomprensioni, facendo invece chiarezza sulle eventuali condotte più corrette da seguire per evitare un eccessivo dispendio economico e possibili problematiche legislative.

Dott.ssa Federica Tavassi
Consulente HACCP Roma 08 ottobre 2013
Associazione Italiana Consulenti di Igiene Alimentare

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